di Pietro Scerrato – “Frintinu me..” Dicembre 2010

Giuseppe Salvatore BellusciIn un periodo difficile qual è quello che stiamo attraversando, caratterizzato da crisi non solo economica ma anche e soprattutto di valori, di disillusione nell’azione della politica e nella capacità e moralità dei suoi protagonisti, forte è il richiamo verso quella straordinaria raccolta di principi, basati sui valori di unità, democrazia, lavoro e solidarietà, che va sotto il nome di Carta Costituzionale.
La Costituzione fu la linfa vitale che permise ad un paese quale il nostro, uscito devastato e disgregato da una guerra terribile, di risollevarsi dalla tragedia e divenire, in pochi anni, una delle maggiori potenze mondiali, rappresentando ancor oggi un modello di civiltà e di democrazia per tutte le altre nazioni del mondo. Viene allora da chiedersi chi fossero quei Padri Fondatori, quegli uomini e quelle donne formidabili, rappresentanti delle diverse classi sociali e di varie aree ideologiche, che facevano parte dell’Assemblea Costituente. Erano persone dotate di grande dirittura morale e rigore ideologico che avevano affrontato con ferrea tenacia la resistenza al regime nazifascista, impegnandosi nella lotta con il pensiero e spesso anche con l’azione militare, che avevano subito ritorsioni e sopportato gravi sofferenze per sé e per i propri familiari. Ma erano animati, pur con le differenze ideologiche che li distinguevano, da un rinnovato clima di armonia e di cooperazione nell’interesse supremo della nazione che stavano cercando di ricostruire. Molti dei loro nomi sono ben noti, hanno assunto in seguito cariche molto importanti e sono quindi riportati su tutti i libri di storia e sulle strade più importanti delle varie città: De Gasperi, Pertini, Togliatti, Terracini, Nenni, Saragat, Ruini, Parri, Calamandrei, Amendola, La Pira, La Malfa etc.
Pochi sanno che in questa schiera di “eletti” (in tutti i sensi perché il loro mandato fu basato sulla consultazione elettorale del 2 giugno 1946) c’era anche un ferentinate. Un ferentinate non di nascita ma di adozione, che ha vissuto a Ferentino la parte più importante e lunga della sua vita, che ha insegnato nel liceo Martino Filetico, che ha sposato una donna di Ferentino, che qui ha cresciuto i propri figli, e che, per suo espresso desiderio, riposa nel nostro cimitero. Si tratta di Giuseppe Salvatore Bellusci, deputato alla Costituente, eletto nelle fila del partito repubblicano italiano nella delegazione del Lazio, e successivamente nominato sottosegretario alla Pubblica Istruzione nel primo governo della repubblica italiana, il De Gasperi II.
Ma raccontiamo con ordine la sua storia e, per meglio comprendere le origini del suo spirito indomito e libertario, partiamo proprio dal suo luogo di origine: San Demetrio Corone, ove nacque il 31 maggio 1888, da una famiglia di vecchi umanisti. San Demetrio Corone è uno dei molti paesi della Calabria che furono fondati dalle popolazioni albanesi fuggite dalla madrepatria verso la fine del XV secolo, dopo aver operato una strenua resistenza contro le soverchianti forze ottomane del sultano Maometto II, il conquistatore di Costantinopoli. A guidare tale resistenza fu un personaggio leggendario nella storia albanese: Giorgio Castriota meglio conosciuto con il nome di “Scandeberg” (principe Alessandro). Scandeberg è l’eroe nazionale albanese, colui che per un quarto di secolo, alla guida di poche migliaia di valorosi, tenne in scacco uno dei più forti eserciti della storia, quello ottomano, sconfiggendolo per ben 25 volte in altrettanti scontri e morì, invitto, nel proprio letto colpito dalla malaria. Per gli Arbëreshë, che lo hanno cantato nelle loro rapsodie e gli hanno dedicato statue nelle piazze di tutti i loro paesi, Scandeberg è sinonimo di albanesità, di amore per la lingua, la cultura e le tradizioni albanesi; a loro Scandeberg ha insegnato i valori della libertà e della democrazia. Questi valori, trasmessi di generazione in generazione, sono arrivati sicuramente sino a Giuseppe Salvatore Bellusci. Dopo aver conseguito la maturità classica presso l’antico collegio di Sant‘Adriano a San Demetrio Corone, Salvatore (così era chiamato usualmente in famiglia) si trasferì a Napoli, ove si laureò in Lettere presso l‘Università Federico II. Nel 1915 vinse il concorso per l’insegnamento e gli fu assegnata la cattedra presso il Liceo Martino Filetico di Ferentino.
A Ferentino Salvatore si ambientò benissimo; conobbe la ragazza che sarebbe presto diventata sua moglie, Amalia Grazioli, che gli diede due figli: nel 1917 Giuseppe (futuro magistrato), e nel 1920 Ugo (per molti anni primario di chirurgia presso l’ospedale di Ferentino). Fin da giovanissimo Salvatore fu attratto dalle idee e dal pensiero di Mazzini e a quegli ideali restò sempre fedele, svolgendo anche attiva opera di educazione mazziniana verso la popolazione di Ferentino e dei paesi vicini. Nel 1919 e nel 1921 si candidò alla Camera dei Deputati.
Ovviamente il suo attivismo politico non era ben visto dal nascente movimento fascista e ciò gli causò una serie di aggressioni da parte degli squadristi. La situazione peggiorò ulteriormente dopo la marcia su Roma (28 ottobre 1922) e la presa del potere da parte di Mussolini.
Come tutti i dipendenti dello stato che avevano svolto attività politica antifascista anche Bellusci fu allontanato dal suo collegio elettorale e trasferito d’ufficio a Livorno, presso il ginnasio Niccolini. Livorno, città natale di Galeazzo Ciano, era pervasa dalla ideologia fascista e pertanto l’ambiente in cui Salvatore si trovava ad operare era particolarmente ostile. Nel 1932 sopraggiunse l’obbligo per tutti i dipendenti dello stato di prendere la tessera del Partito Nazionale Fascista.
Naturalmente Salvatore non ne volle sapere e questo suo rifiuto gli costò un ennesimo trasferimento, questa volta presso il ginnasio Telesio di Cosenza. Nel frattempo, siamo nel 1936, i figli erano cresciuti e si erano iscritti a loro volta all’Università di Napoli, città in cui riuscì alfine ad essere trasferito anche lui, insegnando presso il ginnasio Sannazzaro. La sorveglianza da parte della polizia segreta del regime (la famigerata O.V.R.A.: Opera Nazionale Repressione Antifascista) fu sempre molto forte, e frequenti furono le angherie a cui Salvatore dovette sottostare: fu arrestato varie volte e pesantemente minacciato. Tuttavia non si fece intimidire ed affrontò sempre la difficile situazione a viso aperto, con orgoglio e determinazione, senza esitazioni (.. i geni di Scandeberg alloggiavano saldamente nel suo cuore.. ). Nel luglio del 1943, quando la città di Napoli era sottoposta ad incessanti bombardamenti aerei, decise di rientrare a Ferentino con tutta la famiglia. Qui prese subito contatto con i movimenti antifascisti di Roma e iniziò a ricostruire il partito repubblicano in Ciociaria. Nel marzo 1946 si svolsero a Ferentino le prime elezioni amministrative del dopoguerra e il partito repubblicano conseguì una grande affermazione.
Il successivo 2 giugno 1946 Giuseppe Salvatore Bellusci fu eletto deputato all’Assemblea Costituente nella lista del Lazio del P.R.I. e partecipò attivamente alla definizione della nostra Carta Costituzionale. In quel periodo fu un esponente politico di primo piano ed infatti nel primo governo della repubblica, il cosiddetto De Gasperi II, fu chiamato a ricoprire il ruolo di sottosegretario alla Pubblica Istruzione. Negli archivi della Camera dei Deputati sono conservati molti documenti che testimoniano il suo attivismo politico; ho ritenuto opportuno riportare in questo contesto un suo intervento, svolto l’8 marzo del 1947, in occasione della festa della donna, che testimonia la sua sensibilità di uomo oltre che di politico. «A nome del gruppo repubblicano aderisco alla festa in onore della donna. In ogni tempo e presso ogni popolo la donna fu sempre, per i suoi pensieri e per la sua azione, degna di lode e di ammirazione. Ma la donna del nostro tragico tempo è meritevole di maggior lode, di maggiore ammirazione e di maggiore devozione. Quando la nefasta e funesta guerra, detestata dal popolo e dichiarata dalla monarchia tirannica, travolse nella catastrofe la nostra Nazione, le nostre donne, o madri, o spose, o sorelle, confortarono ogni nostro pensiero, rafforzarono ogni nostra azione e ci furono di aiuto nel sopportare la sventura e nel superare quel pauroso e tremendo momento della nostra vita. E quando la furia devastatrice della guerra diroccò le nostre case, distrusse i nostri focolari, e fummo costretti a rifugiarci nelle campagne, fra i boschi e sui monti, nei momenti in cui era più barbara la distruzione della guerra e ci pareva che l’uomo si fosse allontanato dalle luci della civiltà e, indietreggiando nei secoli, fosse voluto rientrare nella primitiva caverna, la gentilezza delle donne, la loro squisita sensibilità, la loro fede, il loro sacrificio ci rassicurarono che l’umanità non era spenta e che l’uomo avrebbe ripreso il cammino della civiltà. E quando il nostro suolo fu invaso e le nostre città furono inondate dagli eserciti di tutti i colori, le donne italiane custodirono l’onore delle nostre famiglie e salvarono l’onore nazionale.
Onorevoli colleghi, quando noi pronunciamo il nome di “mamma”, le nostre labbra si baciano due volte: in quel bacio c’è l’anima della famiglia e l’anima della umanità
».
La sua attività politica, svolta sempre in coerenza con gli insegnamenti mazziniani, continuò instancabile anche negli anni successivi. Nel 1953 fu promotore insieme con Ferruccio Parri, Calamandrei, Codignola, Zuccarini ed altri della lista Unità Popolare che risultò determinante nel far fallire la cosiddetta legge truffa, ovvero il tentativo di trasformare in senso maggioritario la legge elettorale proporzionale vigente dal 1946. Con l’avanzare degli anni si ritirò progressivamente dalla vita politica attiva, passando tale testimone al figlio Ugo che ha ricoperto anch’egli importanti incarichi in ambito regionale.
Mai però è venuto meno al suo “giuramento di fedeltà” con il pensiero mazziniano e con quegli ideali di libertà e democrazia su cui è fondata la nostra Repubblica che lui ha contribuito fattivamente a costruire.
È morto a Ferentino il 26 dicembre 1972.

bellusci

 

 

cliccando sull’ icona pdf_92754 potrete leggere/scaricare l’ intervista al figlio Ugo realizzata da Andrea Fontecchia e pubblicata in prima edizione nel 2012, seconda 2013.