Sottotenente GIOVAN BATTISTA PAOLINI, Compagnia Arditi del 111° Reggimento Fanteria, Brigata “Piacenza”, nato a Ferentino (FR) il 3 febbraio 1895, Caduto il 20 giugno 1918 presso Nervesa.
Decorato alla memoria, con Medaglia d’Argento al Valor Militare, con la seguente motivazione:
“Comandante della sezione pistole mitragliatrici della compagnia arditi del reggimento, durante una strenua difesa balzava da solo contro un gruppo di nemici e scaricava su di essi i 50 colpi della pistola, facendo strage degli avversari, e catturando alcuni superstiti. In una successiva azione avventuratosi pure da solo contro una casa fortemente apprestata a difesa per catturare gli avversari che vi si trovavano non faceva più ritorno. Nervesa (Piave), 15-20 giugno 1918.

Il mio primo approccio con il mondo della scuola, al pari di tanti altri ferentinati nati nella seconda metà del XX secolo, è avvenuto in quel grande edificio, dalle forme squadrate, che domina il versante sud-orientale della collina di Ferentino. Qualche anno fa lo stabile fu ritenuto inagibile e da allora giace abbandonato in attesa del suo ineluttabile destino. Provo sempre un po’ di tristezza ogni volta che passo dinanzi alla mia vecchia scuola pensando a come, un tempo, quelle mura pulsassero di vita: mi pare di sentire ancora le voci dei bambini, vedere le loro corse nel cortile in attesa della campanella d’inizio, la loro uscita ordinata sotto il vigile controllo degli insegnanti, le mamme che li aspettano ingannando l’attesa con qualche chiacchiera di paese, ed infine le urla di giubilo non appena i maestri (quei “mitici maestri” del dopoguerra, ai quali dedicheremo uno spazio nei prossimi numeri del giornale) ordinavano il “rompete le righe”. C’è un’altra cosa che ricordo perfettamente: la lapide in marmo collocata sul lato destro del portone di ingresso. Sopra c’era scritto: “Scuola Elementare Giovan Battista Paolini”. La scritta ora non c’è più, probabilmente è stata rimossa o trafugata, ma quello che più dispiace è che, all’atto del trasloco in altro stabile attiguo, la scuola ha cambiato denominazione e in questo modo si è persa traccia dell’omaggio che i nostri padri avevano voluto conferire alla memoria dell’eroe ferentinate. Il nome di Paolini probabilmente è poco conosciuto dalle attuali generazioni; in concomitanza con il 150° anniversario dell’unità d’Italia, ritengo quindi doveroso ricordare quel giovane che fu protagonista, con slancio e determinazione e a prezzo della propria vita, di molte e pericolose azioni nel corso dell’atto conclusivo del Risorgimento Italiano, ovvero la I guerra mondiale. Appartenente ad una delle famiglie più in vista della Ferentino di inizio secolo, dotato di un fisico atletico e di un carattere molto determinato, G.B. Paolini si arruolò giovanissimo nell’esercito frequentando i corsi dell’ accademia militare da cui uscì con il grado di sottotenente. Fu subito chiamato a confrontarsi con quell’orribile carneficina, quella spietata guerra di posizione ove molto spesso il possesso di una landa di terra desolata poteva valere il prezzo di migliaia di vite, ove ogni momento era buono per morire e si poteva solo scegliere il modo: colpito di fronte assaltando allo scoperto le mitragliatrici nemiche o fucilato alle spalle esitando un attimo di troppo ad uscire fuori di trincea al comando convenuto. Queste purtroppo erano le regole del gioco a cui tutti dovevano obbligatoriamente adeguarsi. Paolini, inquadrato nel 111° reggimento della brigata Piacenza, prese parte agli episodi salienti del conflitto: le avanzate baldanzose, la logorante guerra di posizione, le resistenze strenue, le ritirate dolorose. Quando i nostri comandi decisero di costituire un corpo d’elitè: gli “Arditi”, una sorta di “commandos” dei nostri tempi, destinato a compiere le azioni più intrepide, Paolini si offrì volontario per entrare nei ranghi di tali unità. Il suo coraggio, la sua determinazione e le sue capacità militari erano tali che gli venne subito affidato il comando della speciale “sezione pistole mitragliatrici” dotata di una arma di nuova concezione: la pistola mitragliatrice “Villar Perosa”, l‘ antesignana del moderno mitra. Vediamo ora più in dettaglio qualche episodio specifico: Siamo nel novembre del 1917: gli austro-tedeschi hanno appena rotto il fronte a Caporetto e dilagano nella pianura veneta mentre il nostro esercito, in rotta disastrosa, è sul punto di cedere definitivamente. Occorre assolutamente rallentare l’avanzata del nemico per dar modo alle forze in ritirata di mettersi in salvo e costituire una linea di difesa al di là del Piave. Paolini, con i suoi uomini, viene chiamato a svolgere una azione di protezione, una resistenza sino all’ultimo uomo, a difesa di una nostra unità in ripiegamento. Ebbene, non solo svolse egregiamente l’opera di contenimento ma riuscì anche a salvare la propria vita e quella di buona parte dei suoi uomini, compiendo gesti di coraggio estremo. Per questa azione gli fu conferita la sua prima medaglia di bronzo con la seguente motivazione: “Comandante di una sezione mitragliatrici che faceva parte del velo di protezione di una colonna, e attaccato dal nemico in forze e quasi circondato, si disimpegnava e teneva in rispetto l’avversario per tutto il tempo stabilito, raggiungeva poi ordinatamente gli altri reparti. Tagliamento – Piave , 5 novembre 1917”. Le vicende della guerra, fra alti e bassi, continuarono con ritmo incessante e con perdite rilevanti da ambo le parti. I diari di guerra della Brigata Piacenza citano vari altri episodi di coraggio dei quali si rese protagonista il Paolini. Ma arriviamo direttamente all’epilogo della storia. Siamo ora nel giugno del 1918. Superato il momento difficile dell’autunnoinverno precedente i nostri sono passati decisamente al contrattacco. Gli austriaci vacillano ma hanno ancora forze sufficienti per tentare una ultima massiccia azione offensiva: è la cosiddetta battaglia del Solstizio, combattuta lungo la linea del Piave, a cui gli austriaci affidano le loro residue speranze di vittoria, utilizzando la maggior parte delle forze a loro disposizione (oltre 60 divisioni) nel tentativo di spezzare nuovamente il fronte italiano. La situazione nel nostro esercito però è molto cambiata dai tempi di Caporetto: c’è maggiore organizzazione e fiducia nella vittoria finale. L‘Italia, grazie anche alle straordinarie imprese del “nostro” capitano Federico Zapelloni (le cui gesta abbiamo già rievocato nel numero di giugno 2009), ha conseguito una schiacciante supremazia aerea. Gli austriaci hanno predisposto un piano d’attacco accurato. Il comando italiano, avendo avuto sentore dei massicci preparativi in corso da parte del nemico ma non conoscendone le direttrici d’attacco, ha predisposto adeguate contromisure adottando una difesa “elastica“: una prima linea relativamente leggera e una consistente riserva dislocata in posizione arretrata pronta ad intervenire nei punti in cui il nemico avrebbe concentrato i propri sforzi. La strategia è brillante ma per poter funzionare è necessario che le truppe di prima linea resistano alle soverchianti forze nemiche per il tempo necessario alla riserva ad accorrere in soccorso. Una delle principali direttrici d’attacco scelte dagli austriaci, con primo obiettivo la città di Treviso, fu il massiccio del Montello. L’assalto al Montello fu portato da 3 divisioni: XIII, la XVII e la XXXI , potentemente armate e dotate anche di gas asfissianti. La difesa italiana era costituita dalla XLIII divisione e dal 111° Reggimento della Brigata Piacenza dislocato nella vicina cittadina di Nervesa. Il fulcro della “sottile linea difensiva” di Nervesa era rappresentato da villa Berti. Il col. Ruocco, comandante del reggimento, fece asserragliare nel parco della villa il 1° battaglione e all’interno dell‘edificio la compagnia arditi. Contro villa Berti per ben 6 giorni (dal 15 al 21 giugno 1918) gli Austriaci lanciarono incessanti attacchi. All’interno di essa Paolini e i suoi Arditi difendevano ostinatamente la posizione, come gli spartani alle Termopili, consapevoli che un loro cedimento avrebbe causato una falla fatale per l’intero fronte difensivo italiano. I diari di guerra del 111° reggimento descrivono con dovizia di particolari tutto il corso della battaglia. Dopo giorni di furiose zuffe, di infruttuosi quanto sanguinosi attacchi, che cozzarono sempre contro l’ostinata reazione dei fanti del 111°, la mattina del 20 giugno gli austriaci sferrarono un ultimo potentissimo attacco nella zona compresa fra Villa Berti e Casa Fornace. Fu in questa circostanza che sacrificò la sua giovane vita il ten. Paolini, il cui corpo peraltro non fu mai ritrovato. Per avere una idea del coraggio dimostrato nelle sue ultime eroiche azioni, riportiamo la motivazione della medaglia d’argento alla memoria che gli fu conferita (e che si affiancava alle 2 medaglie di bronzo precedentemente conseguite) : “Comandante della sezione pistole mitragliatrici della Compagnia Arditi del Reggimento, durante una strenua difesa balzava da solo contro un gruppo di nemici e scaricava su di essi 50 colpi della pistola, facendo strage degli avversari, e catturando alcuni dei superstiti. In una successiva azione, avventuratosi pure da solo contro una casa fortemente apprestata a difesa per catturare gli avversari che vi si trovavano non faceva più ritorno. Nervesa (Piave) 15-20 giugno 1918.” Il suo sacrificio non fu vano perchè l’indomani giunsero finalmente le truppe di rinforzo, il poderoso attacco austriaco fu fermato e da quel momento in poi le sorti dell’intera guerra volsero decisamente in favore delle truppe italiane. Solo poche ora prima di Paolini negli stessi luoghi trovò la morte un altro grande eroe: Francesco Baracca, abbattuto mentre compiva un’azione a bassa quota a difesa dei nostri fanti, probabilmente proprio quelli del 111° . Questo, in estrema sintesi, è quel che fece quel giovane a cui i nostri padri avevano intitolato la principale scuola elementare della nostra città, e che sarebbe giusto reintegrare nel ricordo collettivo dedicandogli una nuova opera pubblica. E, visto che siamo sul tema, altrettanto doveroso sarebbe il conferimento di un analogo riconoscimento per il sergente Domenico Salvatori, fucilato dai tedeschi nel 1944 per essersi rifiutato di tradire i suoi compagni di lotta partigiana, considerando anche l’invito a procedere in tal senso giunto da parte degli appositi uffici della Presidenza della Repubblica.
Il mio primo approccio con il mondo della scuola, al pari di tanti altri ferentinati nati nella seconda metà del XX secolo, è avvenuto in quel grande edificio, dalle forme squadrate, che domina il versante sud-orientale della collina di Ferentino. Qualche anno fa lo stabile fu ritenuto inagibile e da allora giace abbandonato in attesa del suo ineluttabile destino. Provo sempre un po’ di tristezza ogni volta che passo dinanzi alla mia vecchia scuola pensando a come, un tempo, quelle mura pulsassero di vita: mi pare di sentire ancora le voci dei bambini, vedere le loro corse nel cortile in attesa della campanella d’inizio, la loro uscita ordinata sotto il vigile controllo degli insegnanti, le mamme che li aspettano ingannando l’attesa con qualche chiacchiera di paese, ed infine le urla di giubilo non appena i maestri (quei “mitici maestri” del dopoguerra, ai quali dedicheremo uno spazio nei prossimi numeri del giornale) ordinavano il “rompete le righe”. C’è un’altra cosa che ricordo perfettamente: la lapide in marmo collocata sul lato destro del portone di ingresso. Sopra c’era scritto: “Scuola Elementare Giovan Battista Paolini”. La scritta ora non c’è più, probabilmente è stata rimossa o trafugata, ma quello che più dispiace è che, all’atto del trasloco in altro stabile attiguo, la scuola ha cambiato denominazione e in questo modo si è persa traccia dell’omaggio che i nostri padri avevano voluto conferire alla memoria dell’eroe ferentinate. Il nome di Paolini probabilmente è poco conosciuto dalle attuali generazioni; in concomitanza con il 150° anniversario dell’unità d’Italia, ritengo quindi doveroso ricordare quel giovane che fu protagonista, con slancio e determinazione e a prezzo della propria vita, di molte e pericolose azioni nel corso dell’atto conclusivo del Risorgimento Italiano, ovvero la I guerra mondiale. Appartenente ad una delle famiglie più in vista della Ferentino di inizio secolo, dotato di un fisico atletico e di un carattere molto determinato, G.B. Paolini si arruolò giovanissimo nell’esercito frequentando i corsi dell’ accademia militare da cui uscì con il grado di sottotenente. Fu subito chiamato a confrontarsi con quell’orribile carneficina, quella spietata guerra di posizione ove molto spesso il possesso di una landa di terra desolata poteva valere il prezzo di migliaia di vite, ove ogni momento era buono per morire e si poteva solo scegliere il modo: colpito di fronte assaltando allo scoperto le mitragliatrici nemiche o fucilato alle spalle esitando un attimo di troppo ad uscire fuori di trincea al comando convenuto. Queste purtroppo erano le regole del gioco a cui tutti dovevano obbligatoriamente adeguarsi. Paolini, inquadrato nel 111° reggimento della brigata Piacenza, prese parte agli episodi salienti del conflitto: le avanzate baldanzose, la logorante guerra di posizione, le resistenze strenue, le ritirate dolorose. Quando i nostri comandi decisero di costituire un corpo d’elitè: gli “Arditi”, una sorta di “commandos” dei nostri tempi, destinato a compiere le azioni più intrepide, Paolini si offrì volontario per entrare nei ranghi di tali unità. Il suo coraggio, la sua determinazione e le sue capacità militari erano tali che gli venne subito affidato il comando della speciale “sezione pistole mitragliatrici” dotata di una arma di nuova concezione: la pistola mitragliatrice “Villar Perosa”, l‘ antesignana del moderno mitra. Vediamo ora più in dettaglio qualche episodio specifico: Siamo nel novembre del 1917: gli austro-tedeschi hanno appena rotto il fronte a Caporetto e dilagano nella pianura veneta mentre il nostro esercito, in rotta disastrosa, è sul punto di cedere definitivamente. Occorre assolutamente rallentare l’avanzata del nemico per dar modo alle forze in ritirata di mettersi in salvo e costituire una linea di difesa al di là del Piave. Paolini, con i suoi uomini, viene chiamato a svolgere una azione di protezione, una resistenza sino all’ultimo uomo, a difesa di una nostra unità in ripiegamento. Ebbene, non solo svolse egregiamente l’opera di contenimento ma riuscì anche a salvare la propria vita e quella di buona parte dei suoi uomini, compiendo gesti di coraggio estremo. Per questa azione gli fu conferita la sua prima medaglia di bronzo con la seguente motivazione: “Comandante di una sezione mitragliatrici che faceva parte del velo di protezione di una colonna, e attaccato dal nemico in forze e quasi circondato, si disimpegnava e teneva in rispetto l’avversario per tutto il tempo stabilito, raggiungeva poi ordinatamente gli altri reparti. Tagliamento – Piave , 5 novembre 1917”. Le vicende della guerra, fra alti e bassi, continuarono con ritmo incessante e con perdite rilevanti da ambo le parti. I diari di guerra della Brigata Piacenza citano vari altri episodi di coraggio dei quali si rese protagonista il Paolini. Ma arriviamo direttamente all’epilogo della storia. Siamo ora nel giugno del 1918. Superato il momento difficile dell’autunno-inverno precedente i nostri sono passati decisamente al contrattacco. Gli austriaci vacillano ma hanno ancora forze sufficienti per tentare una ultima massiccia azione offensiva: è la cosiddetta battaglia del Solstizio, combattuta lungo la linea del Piave, a cui gli austriaci affidano le loro residue speranze di vittoria, utilizzando la maggior parte delle forze a loro disposizione (oltre 60 divisioni) nel tentativo di spezzare nuovamente il fronte italiano. La situazione nel nostro esercito però è molto cambiata dai tempi di Caporetto: c’è maggiore organizzazione e fiducia nella vittoria finale. L‘Italia, grazie anche alle straordinarie imprese del “nostro” capitano Federico Zapelloni (le cui gesta abbiamo già rievocato nel numero di giugno 2009), ha conseguito una schiacciante supremazia aerea. Gli austriaci hanno predisposto un piano d’attacco accurato. Il comando italiano, avendo avuto sentore dei massicci preparativi in corso da parte del nemico ma non conoscendone le direttrici d’attacco, ha predisposto adeguate contromisure adottando una difesa “elastica“: una prima linea relativamente leggera e una consistente riserva dislocata in posizione arretrata pronta ad intervenire nei punti in cui il nemico avrebbe concentrato i propri sforzi. La strategia è brillante ma per poter funzionare è necessario che le truppe di prima linea resistano alle soverchianti forze nemiche per il tempo necessario alla riserva ad accorrere in soccorso. Una delle principali direttrici d’attacco scelte dagli austriaci, con primo obiettivo la città di Treviso, fu il massiccio del Montello. L’assalto al Montello fu portato da 3 divisioni: XIII, la XVII e la XXXI , potentemente armate e dotate anche di gas asfissianti. La difesa italiana era costituita dalla XLIII divisione e dal 111° Reggimento della Brigata Piacenza dislocato nella vicina cittadina di Nervesa. Il fulcro della “sottile linea difensiva” di Nervesa era rappresentato da villa Berti. Il col. Ruocco, comandante del reggimento, fece asserragliare nel parco della villa il 1° battaglione e all’interno dell‘edificio la compagnia arditi. Contro villa Berti per ben 6 giorni (dal 15 al 21 giugno 1918) gli Austriaci lanciarono incessanti attacchi. All’interno di essa Paolini e i suoi Arditi difendevano ostinatamente la posizione, come gli spartani alle Termopili, consapevoli che un loro cedimento avrebbe causato una falla fatale per l’intero fronte difensivo italiano. I diari di guerra del 111° reggimento descrivono con dovizia di particolari tutto il corso della battaglia. Dopo giorni di furiose zuffe, di infruttuosi quanto sanguinosi attacchi, che cozzarono sempre contro l’ostinata reazione dei fanti del 111°, la mattina del 20 giugno gli austriaci sferrarono un ultimo potentissimo attacco nella zona compresa fra Villa Berti e Casa Fornace. Fu in questa circostanza che sacrificò la sua giovane vita il ten. Paolini, il cui corpo peraltro non fu mai ritrovato. Per avere una idea del coraggio dimostrato nelle sue ultime eroiche azioni, riportiamo la motivazione della medaglia d’argento alla memoria che gli fu conferita (e che si affiancava alle 2 medaglie di bronzo precedentemente conseguite) : “Comandante della sezione pistole mitragliatrici della Compagnia Arditi del Reggimento, durante una strenua difesa balzava da solo contro un gruppo di nemici e scaricava su di essi 50 colpi della pistola, facendo strage degli avversari, e catturando alcuni dei superstiti. In una successiva azione, avventuratosi pure da solo contro una casa fortemente apprestata a difesa per catturare gli avversari che vi si trovavano non faceva più ritorno. Nervesa (Piave) 15-20 giugno 1918.” Il suo sacrificio non fu vano perchè l’indomani giunsero finalmente le truppe di rinforzo, il poderoso attacco austriaco fu fermato e da quel momento in poi le sorti dell’intera guerra volsero decisamente in favore delle truppe italiane. Solo poche ora prima di Paolini negli stessi luoghi trovò la morte un altro grande eroe: Francesco Baracca, abbattuto mentre compiva un’azione a bassa quota a difesa dei nostri fanti, probabilmente proprio quelli del 111° . Questo, in estrema sintesi, è quel che fece quel giovane a cui i nostri padri avevano intitolato la principale scuola elementare della nostra città, e che sarebbe giusto reintegrare nel ricordo collettivo dedicandogli una nuova opera pubblica. E, visto che siamo sul tema, altrettanto doveroso sarebbe il conferimento di un analogo riconoscimento per il sergente Domenico Salvatori, fucilato dai tedeschi nel 1944 per essersi rifiutato di tradire i suoi compagni di lotta partigiana, considerando anche l’invito a procedere in tal senso giunto da parte degli appositi uffici della Presidenza della Repubblica.

Pietro Scerrato