L’interno presenta un impianto di tipo basilicale a tre navate suddivise da arcate a tutto sesto sorrette da colonne e pilastri con capitelli corinzi. Le navate terminano in absidi proporzionalmente differenziate, la maggiore delle quali assume, all’esterno, una semplice decorazione architettonica ad archetti pensili – tipici del romanico lombardo – come tipico del medesimo stile romanico è la copertura interna a capriate lignee, ornate da decorazioni pittoriche. Completano la struttura della basilica due corpi appoggiati alla navata sinistra: l’uno aggettante, in corrispondenza della prima campata, ospita il fonte battesimale; l’altro, posto in corrispondenza delle ultime quattro campate, ospita gli ambienti della sagrestia da cui, a sua volta, aggetta la struttura di una piccola abside, impostata su mensoloni. Nella sagrestia del Duomo, la cui porta di accesso presenta mensole medievali in foggia di teste coronate (una delle quali probabilmente rappresentante il suocero di Federico II, Giovanni di Brienne), si vede il tegurium o ciborio1 dell’antico altare della confessione, che si fa risalire al sec. IX (periodo almedievale), con motivi a treccia di ispirazione longobarda, simile a quello di Sant’ Apollinare in Classe a Ravenna e frutto di maestranze legate alla tradizione scultorea paleocristiana di area romana.
La splendida pavimentazione musiva risale al XIII secolo, opera di Giacomo dei Cosmati, marmorario romano, capostipite di una famiglia artigiana che operò a Roma e dintorni. Nel mezzo della navata centrale il pavimento cosmatesco è rialzato di un gradino, testimonianza di una perduta schola cantorum, delimitata da transenne marmoree. Il resto della decorazione musiva è opera di un altro marmoraio romano, Paolo dei Cosmati.
Lungo la navata centrale, nello spazio sottostante le finestre si osservano 14 medaglioni (7 per parte) con l’effigie dei 14 Santi più venerati nei paesi della Diocesi; precisamente, a destra entrando:
1) San Rocco, venerato in tutti i paesi della diocesi;
2) San Wulstano vescovo, canonizzato nel duomo di Ferentino da Innocenzo III;
3) San Eutichio, presunto vescovo di Ferentino;
4) Santa Lucia (culto locale);
5) San Cataldo patrono di Supino;
6) San Lorenzo, patrono di Amaseno;
7) San Michele Arcangelo, patrono di Pisterzo.
a sinistra entrando:
1) Sant’ Antonio di Padova, patrono secondario di Ferentino;
2) San Pietro Celestino, patrono secondario di Ferentino;
3) San Sebastiano, venerato In tutti i paesi della diocesi;
4) Sant’Agata, venerata a Prossedi;
5) San Biagio, venerato a Giuliano di Roma;
6) Santo Stefano, venerato a Villa S. Stefano;
7) San Giovanni Battista, venerato a Ceccano.
Elemento emergente nella navata centrale è l’elegantissimo presbiterio. L’altare maggiore – cosmatesco – presenta un ciborio sostenuto da quattro colonne, al di sopra delle quali spicca una trabeazione; l’opera – realizzata tra 1228 e 1240 – è di Drudo de Trivio, marmorario romano.
Sui lati interni dell’architrave maggiore del ciborio sono incise due epigrafi: sul lato frontale
indica in Giovanni Arcidiacono di Norwich, appartenente ad una nobile famiglia di Ferentino, il committente dell’opera; la seconda epigrafe recita il testo:
documentando il nome dell’abile marmorario artefice del ciborio.
Sotto detto altare, dopo i restauri conclusisi nel 1905, fu costruito un piccolo sacello dove sono custodite le reliquie di Sant’Ambrogio.
La decorazione pittorica della zona absidale risale al XX secolo, opera di Eugenio Cisterna, che, in occasione dei restauri promossi per liberare la cattedrale dai rifacimenti barocchi, fu incaricato di sostituire i dipinti seicenteschi con un nuovo repertorio di immagini sacre, più simili nello stile ai gusti del neomedievalismo purista di fine Ottocento. Nella parete absidale sono raffigurati i martiri titolari della basilica, il martire Ambrogio e San Redento, antico vescovo di Ferentino; al centro del catino absidale Cristo nella mandorla dell’iride, simbolo di eternità e gloria con ai lati cherubini e serafini e in alto, oltre l’arco trionfale, l’Annunciazione.